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La Dipendenza Affettiva è più facilmente comprensibile se la si definisce “MAL D’AMORE”.  Il termine “dipendenza” in questo caso non fa riferimento alla dipendenza da sostanze chimiche come droga, alcol, farmaci, ecc.,  ma ad un insieme di comportamenti riferibili, appunto, alle relazioni di amore.

Un aspetto che mi ha incuriosito molto nel mio lavoro clinico è la frequenza di persone con dipendenza a livello affettivo che richiede un aiuto psicologico. L’aiuto viene richiesto per poter uscire fuori da un meccanismo percepito come “malato” ma dal quale, proprio come una dipendenza da una droga, non ci si riesce a sottrarre.  Le persone dipendenti affettivamente vogliono comprendere quanto ciò che accade nella loro vita dipenda dagli altri o da loro stessi e come possa essere interrotto quel circolo vizioso che genera solo sofferenza, frustrazione e solitudine.

E’ importante sottolineare che, nella giusta misura, la “dipendenza” è funzionale al nostro benessere.  Pertanto, una “perfetta” indipendenza non solo non esiste, ma non è augurabile. Ad esempio, la nostra autostima è collegata imprescindibilmente alle relazioni che instauriamo (e alla “dipendenza” dagli altri). Le nostre relazioni ci permettono di sperimentare il bisogno di approvazione, di empatia, di conferme e di ammirazione da parte degli altri incrementando così la fiducia in noi stessi e il nostro amor proprio.

Purtroppo, però, ci sono molte “dipendenze” dagli altri che non giovano alla salute psicologica (in gergo più psicologico “non sono funzionali”) e che portano la persona che ne è succube a ripetere in modo automatico le stesse dinamiche di relazione lungo il proprio percorso di vita.

E’ importante sottolineare che chi ha una dipendenza affettiva non ha necessariamente anche un disturbo dipendente della personalità (DDP), così come ci viene tramandato dalla diagnostica psichiatrica (manuali diagnostici dei disturbi mentali) e dalla psicologia accademica. La principale differenza sta nel fatto che un disturbo di personalità dipendente viene definito tale per la sua rigidità e cronicità con cui si manifesta, condizionando completamente diversi ambiti della propria vita, come il lavoro e/o la vita familiare. Pertanto, si definisce disturbo dipendente di personalità  il quadro patologico caratterizzato da un comportamento sottomesso e remissivo, legato ad un eccessivo bisogno di essere accuditi e alla paura di essere rifiutati e abbandonati.

Una persona dipendente affettivamente che non ha un disturbo dipendente di personalità, invece, gestisce la sua vita in modo “apparentemente” funzionale. Pur sentendosi incastrata nel suo rapporto d’amore riesce a gestire altri ambiti della propria vita con successo, come il lavoro e altre relazioni sociali. E’ anche vero che una vita portata avanti con queste modalità di dipendenza può generare chiusura, cronicità e rigidità  che a lungo andare potrebbe anche sfociare nel quadro tipico di un disturbo dipendente di personalità.

Descriviamo adesso qualche caratteristica della persona dipendente affettivamente:

  • Instaura relazioni squilibrate rispetto al “dare e al “ricevere”. Il dipendente dà molto di più di quanto riceve dal proprio partner. Quest’ultimo sa, anche inconsapevolmente, che la relazione non verrà mai meno grazie alla dipendenza dell’altro
  • La paura è l’emozione principale che la persona sperimenta: paura dell’abbandono, di non essere accettati ed amati, paura che prende il sopravvento su tutti i propri bisogni e a vantaggio del partner.
  • Quando deve prendere delle decisioni cerca di aderire alle opinioni e ai consigli altrui
  • E’ sempre gentile e premurosa, al fine di mantenere in modo armonico i rapporti con le persone importanti
  • E’ premurosa e compiacente, tendendo a sopportare un disagio personale per una buona azione a favore di qualcun altro
  • Preferisce avere un ruolo come membro piuttosto che come leader
  • Tende ad evitare i conflitti nelle relazioni, negando in se stessi la presenza di quegli impulsi ostili che potrebbero minacciare le relazioni se esternati
  • Hanno avuto spesso, in passato, relazioni familiari che non hanno soddisfatto (e riconosciuto) i propri bisogni emotivi.

La dipendenza affettiva è più frequente nelle donne che negli uomini. Questo può essere spiegato con gli stereotipi culturali legati al genere, che considerano le donne come coloro che possono mostrare più apertamente, rispetto agli uomini, la dipendenza, perché tipicamente più fragili e deboli dinanzi all’emotività.

Ammettere di avere un problema è il primo passo importante per una persona con dipendenza affettiva. La consapevolezza del problema stesso diventa il primo passo per far vacillare quel sistema contorto che genera sofferenza. Inizialmente la “speranza” di un cambiamento (spesso desiderato nell’altro) contribuisce a rendere ancora più disfunzionale e squilibrato il rapporto stesso. In seguito la persona dipendente, quando sperimenta anche emozioni come disperazione e vive stati depressivi e/o di tipo ansioso, inizia ad intravedere un’altra strada da quella imboccata fino a quel momento.

E’ questo il momento in cui si è più disposti a chiedere aiuto, e può essere l’occasione per iniziare un percorso psicologico di cambiamento, finalizzato alla costruzione di legami sentimentali più appaganti in cui i copioni di coppia non siano più rigidi e controproducenti.

Uscire dal tunnel della dipendenza affettiva è possibile, ma l’ingrediente principale è mettersi in discussione.

Come? Guardando con la lente di ingrandimento le proprie modalità relazionali e cercando il significato profondo collegato al “pilota automatico” che ci ha guidato nelle relazioni sbagliate senza poter intravedere segnali di pericolo, ma anzi, ingannando mente e cuore come il più abile incantatore.

Il buon esito di un percorso terapeutico nella dipendenza affettiva è in gran parte legato alla qualità della relazione terapeuta-paziente. Le possibilità di un’evoluzione positiva e di una trasformazione interna crescono in misura rilevante se, tra la persona e il terapeuta, si sperimentano fiducia, accettazione e nuove modalità relazionali, finalmente più appropriate e realmente finalizzate al proprio benessere.

Tale nuova esperienza è sì una SPERANZA.