Quando il cibo accompagna le nostre emozioni
Ognuno di noi ha vissuto nella propria vita momenti in cui ha “compensato” emozioni negative con il cibo.
Il cibo lo conosciamo da sempre, sin da quando, accoccolati tra le braccia della nostra mamma, “ciucciavamo” il latte dal suo seno. E da sempre sappiamo (e lo proviamo sulla nostra pelle) che il cibo veicola emozioni e sensazioni positive, che hanno quasi un potere “magico”, il potere di annientare per qualche istante la sgradevole sofferenza che ci risuona dentro, dovuta forse all’ansia o alla solitudine o alla rabbia o forse a qualcos’altro che non riusciamo a decifrare, ad etichettare, ad esternare.
Ma le emozioni “non gradite” purtroppo si mimetizzano bene dentro di noi, non ci permettono facilmente di essere raggiunte, toccate, svelate ed affrontate. Non conoscendole bene, ci rimane solo l’“eco del dolore” che esse provocano. E quel dolore arriva impetuoso nella nostra mente, nel nostro stomaco, nella nostra bocca. Pizza farcita, merendine, patatine fritte e golose salse diventano il rimedio immediato a questo dolore, li divoriamo con voracità e già solo il contatto con le nostre papille gustative allevia sgradevolezza e negatività ed il segnale che arriva al nostro cervello è “si! Cosi va meglio!” Ma come ogni anestetico o antidolorifico, purtroppo ad un certo punto l’effetto tende a svanire…
Il senso di colpa è la sensazione più comune che si prova dopo aver mangiato (o forse il termine più corretto è “ingurgitato”) senza essere spinti dalla fame “fisiologica”, bensì dalla cosiddetta fame nervosa (o fame emotiva). Quando la fame emotiva ci accompagna quotidianamente, senza ombra di dubbio ci imbatteremo nel sovrappeso (o nell’obesità) e in conseguenti problemi di salute ad esso correlati. Il nostro benessere psico-fisico inevitabilmente “si arrugginisce” facendo innescare un circolo vizioso interminabile, per cui partendo dal cibo come strumento di appagamento immediato, che placa dolore e trasmette piacevolezza, goduria e sollievo, giunge al senso di colpa, al rimpianto, alla tristezza per aver ceduto ad un gesto “peccaminoso”; a quel punto calorie su calorie si depositeranno sui nostri “confini corporei”, modificandone le forme e rendendoci una caricatura di noi stessi. L’immagine corporea negativa influenzerà la nostra autostima. E si riparte con il cibo….
Perpetuando ed “alimentando” questo circolo vizioso, ciò che raccoglieremo (se pur con brevi momenti di piacere trasmessi dal cibo) sarà probabilmente proprio ciò che (paradossalmente) temiamo di più, ossia l’ansia, oppure l’insoddisfazione relazionale, oppure la rabbia che ribolle dentro e che tanto cerchiamo di gestire e trattenere.
La consapevolezza delle nostre emozioni diventa l’unica strada percorribile per chi vuole tentare di frenarsi di fronte ad un irresistibile “Big Mac”. Conoscere e svelare a noi stessi le nostre emozioni è l’unico ingrediente segreto che serve alle nostre ricette dietetiche, l’unico obiettivo parallelo al raggiungimento di quella che ognuno di noi, a modo suo, chiama “benessere” o “tranquillità” “serenità” oppure “felicità”.
Anche se le nostre emozioni si mimetizzano bene, è necessario poterle scovare e affrontare, senza temere di non poterle contenere o accoglierle nella nostra quotidianità.
A quel punto le vivremo in pieno, le guarderemo in faccia e le toccheremo con mano, ma solo in questo modo potremo realmente ridimensionarle, trasformarle, accettarle oppure sconfiggerle.
E anche guardarsi allo specchio sarà più semplice, amandoci di più.